
Mihály Csíkszentmihályi
Il termine “flow” venne coniato dallo psicologo ungherese-croato-americano Mihály Csíkszentmihályi nel 1975, per essere poi adottato nella psicologia dello sport per indicare una condizione mentale in cui un atleta si trova talmente immerso nella sua prestazione, da arrivare a sperimentare uno stato di concentrazione e serenità assoluti, sentendosi totalmente immerso nella propria attività, fino quasi a “dimenticarsi” di sé stesso, di ciò che gli accade intorno e talvolta persino del tempo che scorre: mente ed il corpo sono in perfetta simbiosi.
Il nostro sistema nervoso quando è completamente immerso in qualcosa non ha abbastanza attenzione per pensare ad altro: al tempo, al proprio corpo, alla stanchezza, ai problemi; scientificamente si chiama ipofrontalità transitoria: in stato di flow si disattiva parte della corteccia prefrontale (PFC – PreFrontal Cortex). Dato che tale area del cervello ospita la maggior parte delle nostre funzioni cognitive superiori, tra cui il senso di sé e di esistenza, la disattivazione anche parziale ci fa perdere la cognizione del tempo e dello spazio.

Daniel Goleman
Csíkszentmihályi arrivò a definire lo stato di flow durante i suoi studi sulla felicità e sulla creatività: infatti, la capacità dell’essere umano di stare nello stato di flusso ha un forte impatto sulla sua felicità. Gli studi sono partiti dall’osservazione del comportamento di grandi campioni sportivi, di artisti e di persone dotate di particolare genialità. Quello che colpisce in queste persone è sempre la straordinaria capacità di automotivarsi e di sopportare durissimi programmi di studio e di allenamento. È proprio questo massimo livello di concentrazione e automotivazione che Csíkszentmihályi ha definito flusso (flow). In seguito, lo psicologo statunitense Daniel Goleman ha parlato del flusso come massima espressione dell’intelligenza emotiva.
Riferendosi al flow, in italiano spesso si suol dire essere in “stato di grazia” o in “stato di esperienza ottimale”, mentre negli Stati Uniti parlano di “being in the zone” (essere nella zona), quasi per sottolineare che si tratta di uno spazio metafisico, di una realtà alternativa fuori dall’esperienza ordinaria.
Il flow è una condizione psicologica positiva sperimentabile in diversi contesti (anche nella musica, nello studio, nel lavoro, nelle relazioni, nelle arti), e che nello sport risulta spesso correlata alla peak performance sia dell’atleta che della squadra.

Abraham Maslow
La peak performance (massima prestazione) è un costrutto teorico formulato da Abraham Maslow nel 1970, ed è caratterizzata da forti contenuti emozionali di gioia, profondo appagamento e smarrimento del sé in una dimensione mistica e transpersonale. È connessa alla tendenza verso l’autorealizzazione dell’individuo, ed è percepita come uno stato di grande significato per la vita del soggetto. È una condizione rara, un momento estatico che insorge in modo inaspettato e in cui l’individuo è coinvolto passivamente, senza dover necessariamente compiere azioni di propria iniziativa, non è comune a tutti gli individui (Maslow l’aveva individuata in un solo soggetto su 3.000 studenti di college da lui intervistati).
Pur presentando alcune analogie, flow e peak performance si differenziano per alcune caratteristiche:
- la condizione di flow non è “di picco”, quanto invece di estremo bilanciamento, su valori positivi, di tutte le componenti psicologiche;
- lo stato di flow non è un’esperienza estatica, di smarrimento del sé, ma è caratterizzato da consapevolezza, controllo e impegno;
- l’esperienza di flow non è rara: circa un adolescente su cinque la sperimenta;
- nello stato di flow il soggetto è attivo, a differenza della peak performance: l’immersione nell’azione, insieme alla motivazione intrinseca e alla situazione di rilassamento e controllo, fanno dello stato di flow una situazione che è già di per sé gratificante, indipendentemente dai risultati dell’azione stessa;
- l’insorgenza dell’esperienza di flow non si può pianificare, si produce da sé senza essere programmabile o prevedibile: in questo senso è assimilabile alla peak performance. Nello svolgimento di una medesima attività, l’esperienza di flow si può verificare oppure no: dipende dalla situazione contingente, in particolare dalla percezione soggettiva del rapporto sfida-abilità (challenges e skills), oltre che dall’ambiente circostante, dal tempo a disposizione del soggetto e da ulteriori fattori interni o esterni che possono interferire nella focalizzazione dell’attenzione sul compito;
- il flow, come la peak performance, può non coinvolgere il comportamento, o meglio, l’azione materiale: spesso le esperienze di flow sono connesse ad attività puramente mentali oppure contemplative.
All’interno di una peak performance, il flow rappresenta la modalità privilegiata per comprendere l’eccellenza della prestazione: concentrarsi su di esso e sulle condizioni che ne sono alla base, consente di delineare un modello di ottimizzazione della performance che vede nella preparazione mentale dell’atleta e nella formazione psicologica del tecnico i suoi due punti cardine. Per avere un’esperienza ottimale si deve raggiungere un flusso continuo di attenzione concentrata, quindi, un’esperienza è percepita ottimale da un soggetto quando la sua attenzione è completamente assorbita dal compito che sta svolgendo.
Nella performance sportiva la condizione di flow consiste nel raggiungimento di uno stato mentale positivo e di un livello ottimale di “attivazione” psico-fisiologica. L’atleta in stato di flow, assumendo il pieno controllo delle proprie azioni, si sente padrone di sé stesso e riesce a sfruttare al massimo le proprie potenzialità. La caratteristica principale del flow è la sensazione di gioia spontanea, addirittura di esaltazione. In questi momenti gli individui si identificano sino in fondo con ciò che stanno facendo, l’attenzione è indirizzata verso il compito, il conscio è uguale all’agire.

Il campione Alex Zanardi durante una gara di handbyke
Nello stato di flow gli individui esprimono un controllo estremamente forte su ciò che stanno facendo, le loro reazioni sono in armonia con i cambiamenti e le esigenze del compito, fino nei minimi dettagli. Contrariamente alla tensione emotiva, il flow è uno stato che permette l’ispirazione, una leggera estasi. Durante il flow, il cervello è tranquillo, le stimolazioni e le inibizioni dei processi nervosi sono in concordanza con le necessità del momento. Nello stato di flow, infatti, il cervello funziona in modo diverso: le onde cerebrali si spostano dalle frequenze più alte della normale coscienza in stato di veglia (gamma e beta) a frequenze più basse come l’alpha e theta. L’alpha è associata alla modalità del sogno ad occhi aperti, la nostra mente è rilassata e spazia libera da un pensiero all’altro, mentre la frequenza theta è quella che si presenta durante la fase REM del sonno o appena prima di addormentarsi.
Lo stato di flow può limitarsi ad alcuni momenti di una prestazione sportiva oppure riguardare un’intera gara o partita, in relazione alle possibilità di mantenersi immersi in questo stato interiore, derivanti dalle caratteristiche psicologiche di un atleta, dalla sua preparazione mentale ma anche dalla possibilità di assecondare i momenti peculiari della disciplina che si pratica. Sullo studio di queste tematiche, Csíkszentmihályi, nel 1990, ha sviluppato la “Teoria delle esperienze ottimali”. L’esperienza in sé è talmente piacevole da indurre le persone a ripeterla anche a costo di grandi sacrifici. Situazioni come queste di solito si verificano quando corpo e mente vengono spinti al limite, nello sforzo consapevole di compiere qualcosa di difficile e utile; il flow è dunque qualcosa che viene provocato e ricercato, come quando un atleta si allena duramente per battere un record o vincere una gara importante. Queste esperienze, a lungo andare, conducono ad un senso di padronanza. Le persone organizzano e selezionano le informazioni e gli stimoli provenienti dal contesto secondo un criterio autonomo: vengono preferibilmente replicate quelle situazioni in grado di produrre uno stato di coscienza positivo, poiché l’individuo tende ad evitare situazioni ansiogene ricercando invece attivamente quelle attività in grado di produrre esperienze positive.
Nella maggior parte degli atleti lo stato di flow si manifesta quando essi affrontano attività che considerano di medio-alta difficoltà, ossia né troppo impegnative (in grado quindi di produrre ansia) né troppo poco (con il rischio di suscitare apatia o preoccupazione). Lo stato di flow si può raggiungere quando l’atleta si percepisce altamente abile e sufficientemente sfidato: è necessario un ottimale incrocio tra la percezione delle proprie capacità e la percezione della difficoltà/facilità dell’attività.
Per l’attivazione del flow sono necessarie due condizioni:
- la percezione di un livello sufficientemente alto di sfida nello svolgere l’attività
- avere le capacità e l’abilità per poterla affrontare
Si può rappresentare le combinazioni dei due fattori mettendo sull’asse delle ascisse il livello di abilità e sull’asse delle ordinate il livello della sfida.
Nel quadrante in alto a destra è evidenziato lo scenario desiderato; all’opposto c’è una bassa intensità dei due fattori si entra in uno stato di apatia e depressione. Se le abilità non sono all’altezza della sfida si avrà uno stato di ansia e stress, mentre, al contrario, si sarà troppo rilassati. Quando c’è un livello medio di abilità ma poche sfide entra in gioco la noia: essa è un barometro che può indicare che si sente la necessità di nuove opportunità. Man mano che aumentano le competenze ci sarà bisogno di sfide nuove e più impegnative per continuare ad entrare nello stato di flow.
Entrare in uno stato di flow vuol dire entrare in uno stato di leggera trance, e poiché tutto avviene in modo naturale, le azioni e i gesti dell’atleta si susseguono secondo una logica interna che sembra non essere gestita dal pensiero cosciente. Questo particolare stato mentale in cui attività fisica e coscienza si amalgamano vicendevolmente viene favorito da un’alta dose di motivazione intrinseca ed è la condizione ottimale per prestazioni eccellenti: l’individuo, fortemente automotivato, ha accesso a tutte le sue potenzialità, la sua concentrazione è totale e prova un forte senso di autoefficacia.
Maestro, allenatore e psicologo si caratterizzano come figure di riferimento per l’atleta, in quanto in grado di attivare un percorso di training mentale che può agevolare la possibilità di riprodurre o mantenere lo stato di flow durante una prestazione. L’attivazione di tale percorso passa attraverso l’allenamento di abilità di autoregolazione dell’attivazione (arousal), di strategie di controllo dell’attenzione, di tecniche di gestione di obbiettivi (goal setting) e di capacità di autoregolazione emotiva e automotivazione basate sulle immagini mentali (imagery). Un adeguato stato di attivazione (arousal), associato ad un basso livello di stress caratterizza lo stato di flow, nel quale l’attenzione è orientata sul compito (il risultato o la gara): l’atleta non è disturbato dai propri pensieri poiché è totalmente assorbito dalla sua attività e sente di controllare le proprie azioni. Lo stato di flow rappresenta, pertanto, il giusto equilibrio, cioè il livello ottimale di energia psichica associata ad un adeguato livello di stress positivo (eustress).
Lo stato di flow è una delle forme più efficaci di hacking del nostro cervello e della nostra vita: permette di fare temporaneamente un “salto quantico” ad uno stadio superiore della nostra esistenza e più riusciamo a stare “all’interno del flusso”, più ci abituiamo a permanere ad un livello di produttività ed efficienza maggiori, ad essere più creativi ed in sintonia con le nostre reali potenzialità. Un’esperienza totalizzante che auguro a tutti di poter sperimentare.
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