La diffusione generale dei social network ha fatto in modo che ogni persona abbia centinaia o migliaia di “contatti”. Quanti di questi sono però parenti, amici o colleghi con cui abbiamo realmente a che fare? Quanti sono i contatti che conosciamo di persona e con i quali trascorriamo del tempo nella vita reale?
L’antropologo e psicologo evoluzionista britannico Robin Dunbar, ricercatore della Oxford University, trascorse molto tempo a studiare i primati non umani, chiedendosi se forma e dimensioni di alcune loro strutture cerebrali fossero indicatori della capacità di questi animali di mantenere i rapporti sociali: le sue ricerche si concentrarono in particolare sulla neocorteccia, cioè quella parte della corteccia cerebrale che si ritiene sia la sede principale delle funzioni di memoria, uso del linguaggio e sviluppo dell’apprendimento. Dunbar notò effettivamente esserci una correlazione fra le dimensioni della neocorteccia ed i gruppi in cui i primati non umani vivevano: più era grande la prima, più erano estesi i secondi, contando quindi un maggior numero di membri.
Dunbar decise quindi di passare all’analisi della neocorteccia degli esseri umani, più grande ancora rispetto a quella dei primati non umani più evoluti e, in seguito a questi studi, nel 1993 pubblico una teoria che prendeva in considerazione le abitudini degli esseri umani nel corso di epoche differenti e, partendo dalla preistoria fino ad arrivare ai giorni nostri, individuando molteplici tipologie di aggregati sociali costituiti da un numero ottimale di componenti, definendo quella che oggi viene chiamata Teoria delle reti.
Dallo studio di Dunbar sono emersi i seguenti risultati:
- familiari ed amici stretti non sono più di 5 o 6;
- amici intimi e parenti vanno dalle 15 alle 20 persone;
- i conoscenti, ovvero coloro che appartengono agli stessi gruppi di interessi, sono 45-50 individui;
- le persone che conosciamo per nome e con le quali intratteniamo relazioni stabili, durature e significative sono circa 150.
Per Dunbar 150 è quindi il numero massimo di “relazioni significative” che il nostro cervello ci permette di trattare a causa della dimensione della nostra neocorteccia (nello specifico quella relazionata con il linguaggio e la consapevolezza). Dunbar scrisse: “si suggerisce che il numero di neuroni neocorticali limiti la capacità di elaborazione delle informazioni dell’organismo e che questo limiti a sua volta il numero di relazioni che un individuo può mantenere simultaneamente”. Superato questo numero i nostri rapporti sociali smettono di essere stabili e continuativi, dimentichiamo i nomi e non li associamo alle persone; sostanzialmente non li conosciamo anche se qualche volta abbiamo a che fare con loro, se facciamo parte della stessa azienda, o viviamo nello stesso quartiere o città. Il numero esprime un dato medio, perché ci sono individui più schivi e che si fermano a un centinaio di relazioni e altri più sociali che arrivano a 250.
Secondo Dunbar: “150 sembra essere il numero massimo di individui con cui possiamo avere una vera relazione sociale, ovvero un tipo di relazione per cui sappiamo chi sono tali individui e in che modo fanno parte delle nostre vite…In altre parole, si tratta del numero di persone con cui ti metteresti comodo a bere qualcosa senza sentirti a disagio se le incontrassi per caso in un bar”.
Il numero di Dunbar è quindi proprio questo 150, ed onde evitare il deterioramento della coesione sociale è quello che si consiglia di non superare nel formare gruppi o strutture sociali ed organizzative che abbiano l’intento di favorire la conoscenza reciproca ed il senso di appartenenza al gruppo.
Dunbar afferma che alla nascita, il numero di persone con cui intratteniamo relazioni di questo tipo è estremamente limitato, in quanto comprende al massimo un paio di persone. Man mano che si cresce cominciano ad aumentare le relazioni, raggiungendo un massimo nella fascia che va fra i venti e i trent’anni. Superato questo periodo della propria vita, ci si stabilizza intorno ai 150 e non ci sono più variazioni significativamente. Fra i sessanta e i settant’anni si inizia ad avere una diminuzione delle relazioni, arrivando ad essere meno di una manciata negli ultimi anni della propria vita, se si vive a lungo.
In un trentennio di ricerche Dunbar ha esposto e arricchito la propria teoria attraverso studi e divulgazione letteraria, cercando rifermenti e dimostrazioni che potessero ulteriormente avvallare i propri risultati, aggiungendo valutazioni storiche, antropologiche ed etnografiche: partendo dal presupposto che la dimensione media attuale della neocorteccia umana si è sviluppata circa 250.000 anni fa, durante il Pleistocene, Dunbar ha notato che le aggregazioni (tribù) di cacciatori-raccoglitori rientravano in tre categorie: piccole, medie e grandi, con rispettive gamme di dimensioni di 30–50, 100–200 e 500–2500 membri ciascuna. Nel Neolitico (periodo della preistoria che va dal 10.000 al 3.500 a.C.), sulla base delle tracce lasciate dagli insediamenti umani, i villaggi erano abitati al massimo da 120-150 individui; intorno all’anno 1.000 d.C., in Inghilterra i villaggi superavano raramente i 160 abitanti; 150 era la dimensione unitaria di base degli eserciti professionisti nell’antica Roma e in epoca moderna a partire dal XVI secolo; molti eserciti moderni contano compagnie di fanteria formate da 150-200 soldati.
Dunbar, nel suo libro Grooming, Gossip, and the Evolution of Language, propose inoltre l’idea che il linguaggio potrebbe essere sorto come mezzo “economico” di cura sociale, permettendo ai primi umani di mantenere efficientemente la coesione sociale. Senza il linguaggio gli esseri umani avrebbero dovuto dedicare la maggior parte del loro tempo alla cura sociale, rendendo quasi impossibile uno sforzo produttivo e cooperativo. Il linguaggio potrebbe aver permesso alle società di rimanere coese, riducendo al contempo il bisogno di intimità fisica e sociale. Questa teoria trova ulteriore conferma nella formulazione matematica dell’ipotesi del cervello sociale, che ha mostrato che è improbabile che l’aumento delle dimensioni del cervello avrebbe portato a grandi gruppi senza il tipo di comunicazione complessa consentita solo dal linguaggio.
APPLICAZIONI
La significativa ricorrenza del numero 150 nella storia delle relazioni sociali umane è per Dunbar una circostanza che avrebbe influito sull’organizzazione di diverse attività, riscuotendo inoltre interesse in molteplici ambiti: dall’antropologia, alla psicologia evolutiva, alla statistica ed alla gestione aziendale.
Uno studio recente ha suggerito che il numero di Dunbar possa essere applicato anche ai social network online e alle reti di comunicazione (cellulare). Gli sviluppatori di social software se ne sono interessati in quanto hanno bisogno di conoscere le dimensioni dei social network di cui il loro software deve tenere conto.
In ambito lavorativo, molte aziende, sulla base di questa teoria, hanno optato per una riorganizzazione interna con unità produttive più piccole per favorire la conoscenza reciproca e la collaborazione. In ambito lavorativo si stanno infatti sempre più affermando modelli di fertilizzazione incrociata (cross fertilization), ovvero reciproci scambi di idee e concetti da differenti campi per un reciproco benefico, dove l’eterogeneità del gruppo diventa un fattore fondamentale nel quale investire. Restando legati ad un settore specifico si corre infatti il rischio che la propria rete diventi eccessivamente chiusa, andando a limitare le potenzialità e le possibilità nel qual caso avvenisse un repentino cambiamento, una trasformazione nel proprio business, o anche un semplice cambio di strategia.
Un ulteriore fattore di cui va tenuto conto è che, nella creazione di un progetto o comunque nella scelta di come procedere con un’azione, nel caso non si prendano in considerazione molteplici prospettive e punti di vista, si rischia di rimanere “intrappolati” nel pensiero del gruppo maggioritario di riferimento. A tal riguardo, il sociologo e politologo americano Robert David Putnam, docente all’Harvard University, afferma come sia necessario disporre di un equilibrio fra “capitale delimitato” e “capitale ponte”, ovvero fra le relazioni basate sui punti in comune e le relazioni costruite attraverso le differenze. In definiva, è auspicabile per tutti sperimentare nuove conoscenze, andando oltre la propria zona di comfort.
Molti articoli e libri discutono sulla possibile applicazione dell’uso del numero di Dunbar per analizzare le reti terroristiche distribuite e dinamiche, reti di criminalità informatica o reti che predicano l’ideologia criminale.
Nel moderno esercito, gli psicologi operativi analizzano dati di questo tipo per supportare o confutare le politiche relative al mantenimento o al miglioramento della coesione e del morale delle unità.
CRITICHE
Una ricerca svolta più recentemente in Svezia, e pubblicata sulla rivista scientifica Biology Letters, ha messo in dubbio la teoria di Dunbar asserendo che le persone avrebbero molti più amici e conoscenti stretti grazie alle loro capacità sociali, alle energie e al tempo che dedicano per mantenere le relazioni con loro. La ricerca è partita dal presupposto che la mente umana sia in grado di gestire una considerevole quantità di informazioni e abbia ampia capacità di memorizzarle, potendo implementare questa abilità attraverso l’esercizio; l’ipotesi era che questa capacità si potesse estendere anche nella gestione delle relazioni sociali, facendo risultare molto difficile, o impossibile, determinazione un effettivo numero medio come quello definito da Dunbar.
I ricercatori svedesi sostengono inoltre che la dimensione della neocorteccia non sia un reale vincolo per decifrare la capacità di socializzazione umana. Uno degli autori dello studio, Patrik Lindenfors sostiene che “le basi teoriche del numero di Dunbar non sono solide” […] “Il cervello di altri primati non gestisce le informazioni esattamente come fa il cervello umano, e la socialità può essere spiegata da altri fattori oltre al cervello”. Ripetendo le stesse analisi di Dunbar, ma utilizzando metodi statistici più evoluti e disponendo di dati più aggiornati, i ricercatori si sono focalizzati sulla relazione fra le dimensioni del gruppo sociale e quelle della neocorteccia dei primati, facendo emergere come, in realtà, il limite massimo medio delle relazioni sociali sia molto più minore di 150 amici (intorno ai 42), ma con un’incertezza statistica enorme. Sempre Lindenfors commenta che “l’intervallo di confidenza del 95% è troppo grande per consentire di indicare un numero con precisione, come ha fatto Dunbar” […] “Specificare un numero qualsiasi è inutile”, pertanto cercare di calcolare un numero medio di relazioni sociali stabili valido per qualsiasi individuo mettendolo in relazione con il volume della neocorteccia risulta essere del tutto riduttivo, perché nella socializzazione umana subentrano infiniti fattori e la maggior parte della ricerca sull’evoluzione sociale dei primati si basa principalmente su fattori socio-ecologici. Il team svedese conclude che “la ricerca ecologica sulla socialità dei primati, l’unicità del pensiero umano e le osservazioni empiriche indicano che non esiste un limite cognitivo alla socialità umana”.
Un diverso gruppo di ricercatori ha dimostrato interesse per la nuova ricerca, che è meno categorica rispetto ai risultati evidenziati da Dunbar, ritenendo che questi ultimi fossero relativi ad un periodo storico molto diverso da quello attuale: nei primi anni ‘90 non esistevano né social network né smartphone e vivevamo sostanzialmente offline: oggi possiamo avviare e mantenere relazioni con molte più persone ed espandere continuamente la nostra rete sociale. D’altro canto, Dunbar sostiene che la sua teoria è tutt’ora valida, nonostante le opportunità offerte dalla rete internet: dal suo punto di vista le relazioni mantenute per lo più online hanno un minor peso sociale, senza raggiungere livelli personali comparabili con quelli dei rapporti coltivati di persona.
Ulteriori recenti studi, che si riferiscono al recente periodo di pandemia, hanno provato a valutare come si siano modificati i rapporti sociali a causa dei lockdown e delle restrizioni: come noto la riduzione nelle interazioni sociali ha riguardato soprattutto le persone anziane, che già di norma tendono ad avere una rete sociale più ristretta, con effetti sociali e psicologici che avranno importanti ricadute anche negli anni a venire.
FONTI:
- Dunbar, Robin. 1996. Grooming, gossip, and the evolution of language. Cambridge, MA: Harvard University Press.
- Dunbar, R. I. et. Al. 2002. Human Evolutionary Psychology. London: Palgrave.
- Hill, R. A. & Dunbar, R. I. 2003. Social Network size in humans. Human Nature; 14(1): 53-72.
- http://www.umbertosantucci.it/atlante/numero-di-dunbar/
- https://www.filosofiadellinnovazione.it/il-numero-di-dunbar-ovvero-l-importanza-di-una-rete-di-relazioni-eterogenea.html
- https://blog.hootsuite.com/it/numero-di-dunbar-customer-relations/
- https://www.ilpost.it/2021/05/13/numero-di-dunbar-amici-relazioni-sociali/
- https://www.wired.it/scienza/lab/2013/12/27/numero-dumbar-biglietti-natale/
- https://royalsocietypublishing.org/doi/10.1098/rsbl.2021.0158
- https://en.wikipedia.org/wiki/Dunbar%27s_number
- https://www.wired.it/scienza/lab/2021/05/05/numero-dunbar-150-amici/
- https://angolopsicologia.com/facebook-e-numero-di-dunbar-il-cervello/