Il mondo subatomico appare come una rete di relazioni tra le varie parti di un tutto unico e i concetti derivati dall’ordinaria esperienza macroscopica sono inadeguati a descriverlo. Il concetto di un’entità fisica distinta quale la particella è un’idealizzazione, in quanto essa può essere definita solo in rapporto alle sue connessioni con il tutto, e queste connessioni hanno una natura statistica: probabilità invece di certezze. Quando si prova a descrivere quelle che sono le proprietà di un’entità di questo tipo con la terminologia dei concetti classici – come posizione, energia, quantità di moto, ecc. – si scopre che esistono coppie di concetti che sono in relazione tra loro e che è impossibile definirli simultaneamente in modo preciso.
Volendo favorire una migliore comprensione di questa relazione tra coppie di concetti classici Niels Bohr introdusse l’idea di complementarietà: considerando la rappresentazione corpuscolare e quella ondulatoria come due descrizioni complementari della stessa realtà, ciascuna delle quali risulta solo parzialmente adeguata e con un limitato campo di applicazione. Ognuna delle due rappresentazioni diviene necessaria per dare una descrizione completa della realtà atomica, ed entrambe necessitano di essere applicate entro i limiti fissati dal principio di indeterminazione di Heisenberg. Questo concetto di complementarietà è diventato un aspetto essenziale del modo col quale i fisici riflettono sulla natura e Bohr ha spesso suggerito che potrebbe essere un concetto utile anche fuori dalla fisica.
Con la Teoria del Tutto, i fisici intendono descrivere l’obbiettivo di trovare, un giorno, un’unica grande equazione che consenta di spiegare tutti i fenomeni della natura. Qualora si riuscisse in tale intento, questa verrebbe considerata con il Santo Graal della Fisica, perché metterebbe fine ai nostri tentativi di conoscere e comprendere l’Universo. In realtà attualmente, per spiegare i fenomeni che avvengono nell’Universo, abbiamo a disposizione due macro-insiemi di leggi che vengono usate per spiegare i fenomeni dell’Universo: da un lato abbiamo la teoria della relatività, mentre dall’altro abbiamo la meccanica quantistica: la prima fu concepita per comprendere i motivi per cui la luce ha sempre una velocità costante, indipendentemente da quale sia lo stato dell’osservatore; la seconda fu invece formulata per la necessità di spiegare un insieme di scoperte sperimentali rispetto alle quali la fisica classica era incapace di dare spiegazioni.
Tuttavia, benché il valore indubbio e il fatto inconfutabile che riescano a riprodurre una grande quantità di fenomeni naturali con un grado di precisione altissimo, la teoria della relatività e la meccanica quantistica soffrono di un considerevole problema di fondo: sono mutuamente incompatibili. Nonostante questo, esse governano la nostra vita congiuntamente e per quanto ci sia impossibile capire la combinazione dei loro elementi, entrambe le teorie possono essere applicate in qualsiasi tempo e luogo, tanto da dover coesistere che lo si voglia o meno.
Creare una teoria solida e con regole chiare partendo dalle parti scoperte fino all’inizio del ‘900 fu un processo al quale parteciparono alcuni dei più illustri scienziati del XX secolo: Paul Dirac, Werner Heisenberg, Niels Bohr, Albert Einstein diedero importanti contributi, giacché risulterebbe ingiusto attribuire la paternità della meccanica quantistica ad uno solo di loro.
Uno scienziato però riuscì a fornire un’immagine chiara e abbastanza intuitiva dell’argomento, il che, trattandosi di quantistica, è dire certamente molto: si tratta del fisico austriaco Erwin Schrödinger, il quale provò, come molti altri, a fondare una teoria quantistica che potesse descrivere i fenomeni osservabili in base ad una autentica meccanica, ovvero in grado di spiegare sia il moto dei corpi che le cause. Per realizzare ciò, si basò sui risultati ottenuti fino a quel momento (la quantizzazione, la conservazione di energia e del momento angolare e la dualità onda-particella) e si prefissò di determinare quale sarebbe stata la formula analoga alla famosa F=ma di Isaac Newton, nel nuovo concetto quantistico.
È bene ricordare che Bohr aveva ipotizzato come gli elettroni negli atomi si muovessero su orbite fisse (quantizzate), ma nessuno capiva perché. Schrödinger propose una nuova equazione per descrivere il modo in cui l’onda si evolve, piuttosto che il moto di una particella. Ipotizzo quindi l’esistenza di una funzione matematica che fosse in grado di contenere tutta l’informazione disponibile sul sistema studiato: tale funzione è conosciuta con il nome di funzione d’onda. Per determinare la funzione d’onda si presume che essa soddisfi un’equazione differenziale, conosciuta oggi con il nome di equazione di Schrödinger: è un’equazione molto complessa da risolvere anche nei casi più semplici, dato che include derivate temporali e spaziali. L’equazione di Schrödinger permette di spiegare la quantizzazione dell’energia in ambito atomico ovviando la necessità di includere i postulati artificiali necessari nel modello di Bohr. La funzione d’onda però, nonostante la sua utilità, generò una serie di conseguenze inaspettate e sorprendenti: se fino a quel momento le equazioni di fisica permettevano di ottenere qualsiasi misura si desiderasse calcolare con un grado di precisione senza limiti, il nuovo ostacolo che si presentava per sapere esattamente a quale velocità viaggiasse una particella o quale fosse la sua energia o la sua posizione era l’abilità stessa dello sperimentatore.
Per effetto del principio di indeterminazione di Heisenberg, ci sono dei limiti alla precisione con cui possiamo misurare coppie di quantità, come si è visto è impossibile calibrare ogni tipo di variabile con precisione assoluta e questo ci porta a sostituire la certezza con la probabilità. È privo di senso chiedersi dove si trovi la particella prima di misurare la posizione, così come lo è il concetto stesso di posizione, dal momento che c’è una probabilità reale che la particella si trovi in qualsiasi luogo. Solo quando la si misura, la funzione d’onda collassa e assume un valore concreto. In un certo senso, la particella sceglie la propria posizione solo quando la osserviamo.
Questo particolare aspetto della meccanica quantistica viene solitamente illustrato con il celebre esperimento concettuale denominato Paradosso del gatto di Schrödinger. Ipotizzando di avere una scatola perfettamente isolata dall’esterno, all’interno della quale vengono posti un gatto (vivo), una particella radioattiva ed una fiala di cianuro; la scatola poi viene chiusa ed è impossibile osservarne l’interno.
La particella ad un certo punto decadrà, ipotizziamo entro un giorno, ed in quel momento verrà attivato un dispositivo che farà rompere la fiala di cianuro, con la conseguente morte del gatto a causa delle esalazioni tossiche.
Scientificamente, fintanto che la scatola resta chiusa, lo stato che descrive il sistema interno totale (particella + cianuro + gatto) sarà con equa probabilità in una delle seguenti configurazioni:
- Particella integra / Gatto vivo
- Particella disintegrata / Gatto morto
La condizione spiazzante è che la meccanica quantistica dice che il gatto si troverà in una condizione molto strana: sia vivo, che morto! È come se la natura avesse preso le due combinazioni e solo nell’istante in cui verrà aperta la scatola ne estraesse una ed una soltanto.
Nel momento in cui viene realizzata un’osservazione, la funzione d’onda che rappresenta il sistema assume un valore (collassa) e solo in quel momento si potrà sapere se il gatto è vivo o morto; tuttavia, prima di questo momento è inutile che ci chiediamo se il gatto sia vivo. È come lanciare una moneta in aria: mentre ruota, è privo di senso domandarci se uscirà testa o croce.
Il decadimento di una sostanza radioattiva[1], è un fenomeno regolato dai principi della meccanica quantistica: fino al momento in cui viene effettuata una misura (osservazione) è impossibile sapere se il decadimento ha avuto luogo. Il nucleo della sostanza radioattiva si trova in una mescolanza di stati, nucleo decaduto e nucleo integro: soltanto una misura può fare in modo che assuma uno di questi due stati.
Il fisico statunitense Hugh Everett propose un’interpretazione alternativa chiamata interpretazione degli universi multipli. Secondo tale visione, quando viene aperta la scatola per osservare lo stato in cui si trova il gatto di Schrödinger, l’Universo si sdoppia in due universi: in uno di essi il gatto è vivo, nell’altro è morto. In pratica, ogni volta che si effettua un’osservazione l’Universo si divide in tanti universi paralleli quale risultato di tale osservazione.
La natura e il significato della meccanica quantistica continuano a essere oggetto di discussioni filosofiche e scientifiche. Filosofiche perché per natura desideriamo sempre conoscere il significato delle cose e fisiche perché un’interpretazione alternativa potrebbe aprire le porte all’unione della meccanica quantistica con la teoria della relatività e sfociare nella tanto desiderata Teoria del Tutto.
NOTE:
[1] L’emissione di una particella da parte di un nucleo atomico che si trasforma in un altro elemento.
FONTI:
- Al-Khalili, Jim. 2003. A Guide for the Perplexed. London : Weidenfeld & Nicolson Ltd., 2003. Trad. it. La fisica dei perplessi. L’incredibile mondo dei quanti. Torino : Bollati Boringhieri, 2014.
- Capra, Fritjof. The Tao of Physics. Boulder : Shambhala Publications, 1975. Trad. it. Il Tao della fisica. Milano : Adelphi edizioni S.p.A., 1982.
- Montemagno, Luca. 2015. Il mio gatto odia Schrödinger. Capire la fisica quantistica e l’universo, meglio di un arguto felino. Leipzig (DE) : Amazon Distribution GmbH, 2015.
- Quirantes, Arturo. 2015. Espacio-tiempo cuántico. En busca de una teoría del todo. Barcelona : RBA Contenido Editoriales y Audiovisuales, S.A.U., 2015. Trad. it. Lo spazio-tempo quantistico. Alla ricerca di una teoria del tutto. Milano : RBA Italia S.r.l., 2015.
- Scolari, Fabio. 2019. Psicologia quantistica. Valutazione critica della sua possibile applicazione in ambito lavorativo.