Nel rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2017 intitolato Prevenire l’annegamento: una guida all’attuazione, si evince che a livello globale i bambini da 1 a 4 anni sono i più vulnerabili all’annegamento perché sono vivaci e si muovono molto, possono pertanto cadere più facilmente in corsi d’acqua aperti o privi di ostacoli da cui non possono uscire. La mancanza di consapevolezza dei genitori sui rischi e la prevenzione dell’annegamento infantile, una supervisione inadeguata e un’ampia esposizione ai corpi idrici sono notevoli fattori di rischio per l’annegamento in questa fascia d’età.
Nei paesi a basso e medio reddito (e anche in molti paesi ad alto reddito) l’annegamento infantile tende a verificarsi durante le ore di lavoro dei tutori, quando questi stanno facendo i lavori di casa o altri compiti quotidiani. La supervisione dei bambini durante le ore in cui è più probabile che anneghino è un intervento fondamentale per proteggerli, tuttavia, nella maggior parte dei paesi a basso e medio reddito (a differenza dei paesi ad alto reddito) tale assistenza è quasi inesistente.
Le barriere fisiche possono impedire ai bambini di entrare in contatto con fonti d’acqua aperte e prevenire il rischio: alcuni paesi ad alto reddito hanno fatto molto per ridurre l’annegamento infantile usando questa strategia e c’è il potenziale per fare lo stesso nei paesi a basso e medio reddito. Nei paesi ad alto reddito la maggior parte degli annegamenti infantili avviene in piscine inadeguate o non recintate: in questi casi porre delle recinzioni ai quattro lati o installare un cancello auto-chiudente e auto-bloccante si è rivelata una strategia di prevenzione efficace. In Australia l’annegamento nelle dighe delle fattorie è un rischio importante per i bambini piccoli e sono stati presi provvedimenti per creare aree di gioco sicure al fine di ridurlo. Nei paesi a basso e medio reddito, l’evidenza aneddotica e studi sull’annegamento indicano che i corsi naturali d’acqua rappresentano il maggior rischio di annegamento dei bambini. Rendere inaccessibile l’acqua in spazi aperti può essere poco pratico, specialmente in luoghi con molti corpi idrici nelle vicinanze: in questi ambienti viene consigliato di installare barriere per le porte di casa, usare box per i giochi, o recintare un’area di gioco sicura all’interno o intorno alla casa di famiglia, sistemi che possono essere alternative semplici e convenienti, se coadiuvate da un’adeguata supervisione.
A livello globale, i tassi di annegamento sono più alti nella prima infanzia e diminuiscono rapidamente nell’infanzia media. Nei paesi a basso e medio reddito paesi a basso e medio reddito i tassi di annegamento diminuiscono ulteriormente in adolescenza, ma in molti paesi ad alto reddito aumentano a causa di attività ricreative nei pressi di laghi e fiumi. Nei paesi a basso e medio reddito i bambini annegano in corpi idrici vicini ai luoghi di svolgimento delle attività quotidiane. La prevenzione dell’annegamento in questi diversi ambienti richiede abilità e competenze specifiche.
La prova che insegnare ai bambini a nuotare li protegge dall’annegamento è stata stabilita solo di recente. Una revisione del 2014 dei programmi di nuoto e di formazione nei paesi ad alto reddito ha trovato poche prove conclusive della riduzione degli annegamenti dovuta al nuoto. Tuttavia, la revisione ha trovato tre studi caso-controllo che mostrano delle associazioni tra la ricezione di lezioni di nuoto o l’abilità natatoria acquisita naturalmente e la diminuzione annegamento. Esiste anche uno studio, lo SwimSafe Cohort Trial, che ha mostrato un’effettiva riduzione degli annegamenti mortali tra i bambini delle scuole del Bangladesh rurale. Insegnare ad un bambino a nuotare può essere pericoloso se non sono messe in atto adeguate misure di sicurezza. Riconoscendo questo, i paesi ad alto reddito paesi hanno sviluppato programmi formali per insegnare ai bambini a nuotare, spesso sostenuti dal governo e rafforzati dai programmi scolastici, certificati da organismi appropriati, tenuti da istruttori formati e accreditati, valutati per l’efficacia dell’apprendimento e testati per la sicurezza. In generale, i bambini che partecipano sono di età pari o superiore ai 6 anni, sottoposti a screening per i rischi (per esempio epilessia, asma, disabilità) e svolti in acque pulite, chiare e poco profonde con confini ben visibili. Il nuoto viene insegnato come componente di un programma che include la sicurezza in acqua e il salvataggio sicuro, la conoscenza e gli atteggiamenti verso l’acqua.
Nei paesi a basso e medio reddito, condizioni come malnutrizione, lesioni alla nascita con disabilità fisica e/o mentale, asma ed epilessia hanno un’alta prevalenza prima dell’età di 6 anni e sono difficili da individuare in questi contesti. Questo può mettere i bambini sotto i 6 anni a rischio di annegamento durante le lezioni di nuoto se queste condizioni non vengono rilevate prima. La prevenzione dell’annegamento tra i bambini di età sotto i 6 anni deve quindi utilizzare altre strategie come barriere di accesso all’acqua e una supervisione capace.
Sono inoltre necessarie ulteriori ricerche qualitative e quantitative volte a definire le migliori modalità per addestrare coloro che si occupano del salvataggio e della rianimazione in sicurezza, rispetto a quelle attualmente disponibili. Esistono molti programmi di formazione certificati in ambienti ad alto reddito, ma queste guide si concentrano maggiormente sugli approcci più noti dei programmi di addestramento al salvataggio ed alla rianimazione in specifiche situazioni limitate, e sull’assicurare che questi programmi soddisfino le esigenze specifiche dei discenti locali.
Le persone non addestrate tendono ad aiutare gli altri in pericolo, anche in circostanze estreme, e possono trovarsi personalmente a rischio di annegamento. L’addestramento permette alle persone di agire in modo più sicuro quando si esegue un salvataggio. I soccorritori di bambini che annegano sono spesso altri bambini: questo significa che gli interventi per addestrare al salvataggio e alla rianimazione in sicurezza devono considerare molto attentamente a quale età tali programmi possono addestrare con successo i bambini. L’età in cui un bambino può iniziare a imparare le tecniche di salvataggio e rianimazione in sicurezza e rianimazione sicura dipende dalle capacità fisiche: c’è un consenso generale sul fatto che la maggior parte dei bambini sono ritenuti fisicamente adeguati all’età di 12 anni, e la ricerca in corso suggerisce che in alcuni casi tale apprendimento potrebbe avvenire prima.
LA SITUAZIONE ITALIANA
Una recente statistica ISTAT riporta un dato molto preoccupante, ovvero che in Italia ogni anno 400 persone muoiono per annegamento: in media più di una al giorno. Inoltre, un rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità sottolineava come tra il 2010 e il 2012 fossero morti affogati 1.129 italiani: circa 380 all’anno, soprattutto minorenni maschi con meno di 14 anni. In una ricerca pubblicata sulla rivista Fortune Italia, effettuata dal pediatra Italo Farnetani, docente alla Libera Università Ludes di Malta, rilevava che su 7 milioni e mezzo di minori, da 4 a 18 anni, solo 2,2 milioni, ovvero il 30%, sapeva nuotare bene; 2,2 milioni sapevano solamente galleggiare e spostarsi in avanti, mentre il 10%, sapeva mantenersi a galla solo in piscina, ma non in mare e il restante 30% non sapeva nuotare affatto. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia la fascia di età con il maggior numero di decessi per annegamento è quella fra i 15 e i 19. Nel mondo, i tassi più alti di annegamento riguardano i bambini di età compresa fra 1 e 4 anni, seguiti dai bambini di 5-9 anni di età.
Tali dati purtroppo si fermano qui, senza specificare nel dettaglio le cause di questi incidenti; queste informazioni sarebbero fondamentali sia per impostare delle strategie utili alla prevenzione, sia per fare una mappa dei luoghi dove il rischio è maggiore, e cercare così di ridurre i decessi.
Nel 2014 i ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità controllarono gli articoli dei quotidiani che parlavano di annegamenti (escludendo, ovviamente, le tragedie della migrazione): furono 278, dove per buona parte dei casi (70) aveva un malore all’origine dell’annegamento.
Enzo Funari, il ricercatore del Dipartimento Ambiente e connessa prevenzione primaria dell’ISS che ha condotto lo studio, in un’intervista all’agenzia di stampa AdnKronos Salute disse “Avere un quadro preciso di come e perché le persone annegano è il presupposto indispensabile per organizzare una strategia di prevenzione incisiva. Ma, ad oggi, non è facile raccogliere i dati. Per questo abbiamo deciso di analizzare le notizie riportate dalla stampa”.
Un ulteriore obiettivo dello studio puntava a realizzare una mappa delle spiagge a rischio, quelle dove ci sono condizioni pericolose (correnti, formazioni di buche), così da informare adeguatamente i bagnanti sui comportamenti corretti da adottare.
Sempre Funari afferma che “La semplice cartellonistica potrebbe evitare molte tragedie. Sappiamo, inoltre, che molti annegamenti avvengono nelle spiagge libere, dove non c’è un bagnino che, a volte, solo con la sua presenza scoraggia comportamenti pericolosi ed è in grado di aiutare chi si trova in difficoltà. Pochissimi Comuni si sobbarcano spese per personale in queste zone. Ma il loro aiuto anche per la mappatura è sicuramente importante”.
Lo studio del 2014 sugli annegamenti riporta anche i seguenti dati:
- 70 decessi per malore;
- 61 decessi per caduta;
- 24 decessi associati ad attività di pesca subacquea;
- 23 decessi per tentativi di soccorso;
- 23 le persone che si sono suicidate per annegamento, 12 in fiumi e 7 in mare. Si è trattato di persone italiane a eccezione di un afgano.
- La mancata sorveglianza viene identificata come causa primaria nel caso di annegamenti di bambini. Dei 9 casi riportati tra il 16 luglio 2014 e il 2 settembre, 7 erano bambini e 2 bambine; 4 incidenti sono avvenuti in mare, 3 in piscine private e 2 per caduta in canali.
Nel 2014 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) lanciò l’allarme, pubblicando il primo Rapporto mondiale sugli annegamenti, che nel sottotitolo recita “Prevenire una delle principali cause di morte”, infatti secondo i dati diffusi dall’Organizzazione, dopo la meningite e l’HIV, l’annegamento risulta essere la terza causa di morte sotto i 15 anni a livello mondiale e tra le persone a maggior rischio di annegamento, ovviamente, ci sono i bambini.
Farnetani, che da tempo si occupa in particolare delle accortezze che possono essere adottate per salvaguardare i bambini dai pericoli dell’acqua, in un’intervista all’aggregatore Huffpost, dice “Perché questo accade? Perché in Italia si nuota malissimo: nella fascia d’età dai 5 ai 18 anni, solo il 30% sa nuotare in maniera sufficiente. Un altro 30% sa stare a galla, ma alla minima difficoltà è indifeso. Infine, un 10% sa nuotare solo in piscina”. Secondo il professore è fondamentale conoscere l’acqua e farlo prima possibile: fra i 7 e i 18 anni esiste una vera emergenza nuoto e “l’unico compito delle vacanze che darei ai bambini sarebbe quello di fare i corsi di nuoto, meglio se al mare. È una garanzia di sicurezza e si salvano tante vite”.
Sembra quindi che gli italiani non sappiano nuotare bene, benché questo sport sia praticato soprattutto dai più piccoli: secondo l’ISTAT tra i bambini fino a 10 anni il nuoto risulta essere l’attività sportiva più praticata (43,1%), soprattutto tra le bambine (47,7% contro il 38,9% dei maschietti). Ad essere carenti in Italia sono soprattutto i controlli, in particolar modo in seguito alla chiusura forzata delle piscine attrezzate a causa del Covid-19. Nelle piscine italiane muoiono circa 30 persone all’anno e più della metà si tratta di bambini piccoli che sfuggono al controllo degli adulti.
Il professor Farnetani ha redatto un decalogo in italiano, inglese e spagnolo dei punti da seguire per mettere in sicurezza i bambini in spiaggia e in piscina.
- Insegnargli a nuotare;
- Non lasciarli mai da soli fino ai 12 anni;
- Fondamentale la presenza del Servizio di salvataggio, che non deve mai essere interrotto;
- Seguire le ordinanze di balneabilità dei sindaci, evitando le zone dove si praticano sport acquatici;
- Entrare lentamente in acqua, per evitare sbalzi termici;
- Proteggere la loro pelle dal sole;
- Mantenerli idratati;
- Cercare acque pulite;
- In vista dell’estate, far sì che i bambini si formino sulla sicurezza in spiaggia e in piscina.
Sempre Farnetani ha promosso il progetto delle Bandiere Verdi, che segnalano le spiagge adatte ai bambini, selezionate dai pediatri. In Italia nel 2021 ne sventolavano 148 ed hanno lo scopo di indicare ai genitori le zone in cui ai bambini viene garantita maggiore sicurezza, con un occhio di riguardo anche alle attività ludiche per i più piccoli. “I genitori non devono avere paura né delle spiagge, né ancor più delle piscine, che hanno meno insidie dell’acqua di mare. L’importante è non abbassare mai l’attenzione e dare ai più piccoli gli strumenti adatti per muoversi in sicurezza”.
LA SUPERVISIONE DEI GENITORI
Come riferiscono i rapporti ISTISAN 11/13 “La mancata sorveglianza dei bambini merita sicuramente un’attenzione particolare, in quanto la necessità di una sorveglianza adeguata da parte dei familiari o degli adulti che hanno il compito di seguirli è fuori discussione e rientra nell’ambito di responsabilità soggettive. Ma al di là di alcune situazioni, come ad esempio le piscine private, si pone il problema della sorveglianza da parte di personale appositamente addestrato. È altamente improbabile che questi incidenti si possano verificare in acque sorvegliate dai bagnini. La sorveglianza da parte dei bagnini avrebbe vantaggi chiaramente individuabili ed eviterebbe salvataggi improvvisati da parte di persone non in grado di effettuarli, che a volte si concludono con esiti fatali anche per i soccorritori”.
Un interessante studio longitudinale condotto nel 2013 da Barbara Morrongiello, Megan Sandomierski e Jeffrey R. Spence dell’Università di Guelph in Canada, aveva come scopo quello di determinare come la partecipazione dei bambini alle lezioni di nuoto potesse influenzare la valutazione dei genitori sul rischio di annegamento dei bambini e sul bisogno di supervisione. Il metodo di studio è stato adottato con bambini di 2-5 anni iscritti a lezioni di nuoto in comunità che hanno completato le stesse misure di indagine fino a 4 volte in un periodo di 8 mesi.
Le analisi di regressione multilivello che esaminavano le relazioni temporali tra le percezioni dei genitori sull’abilità natatoria dei loro figli, le esigenze di supervisione in acqua e la capacità dei bambini di tenersi al sicuro in situazioni di rischio di annegamento hanno rivelato che, man mano che i bambini progredivano nelle lezioni di nuoto, le percezioni dei genitori sull’abilità natatoria dei loro figli e la loro convinzione che i bambini siano capaci di tenersi al sicuro in acqua aumentavano. Inoltre, la relazione tra le percezioni dei genitori sull’abilità natatoria e i giudizi sui bisogni di supervisione dei bambini era mediata dal giudizio dei genitori sulla capacità dei loro figli di garantire la propria sicurezza vicino all’acqua. In conclusione, man mano che i genitori percepivano che i loro figli stavano accumulando abilità natatorie, essi credevano sempre più che i bambini fossero in grado di non annegare da soli e, di conseguenza, che fosse necessaria una supervisione meno attiva dei genitori sui loro figli.
Le implicazioni di questi risultati per gli sforzi di intervento per contrastare questo modo di pensare sconveniente che può sorgere attraverso la partecipazione continua alle lezioni di nuoto sono tutt’ora discusse. Certamente incorporare una componente incentrata sui genitori nei programmi di apprendimento del nuoto per bambini per promuovere valutazioni più realistiche delle esigenze di supervisione dei bambini e dei rischi di annegamento può migliorare ulteriormente i benefici positivi che le lezioni di nuoto hanno per la sicurezza dei bambini.
I BIAS COGNITIVI
Nelle casistiche esposte fino ad ora emergono diversi bias cognitivi (costrutti fondati su percezioni errate o deformate, su pregiudizi e ideologie, al di fuori del giudizio critico, utilizzati spesso per prendere decisioni in fretta e senza fatica.
In particolare si evidenziano i seguenti:
- Bias di illusione di controllo: si evidenzia con un’aumentata fiducia delle proprie probabilità di successo (overconfidence). Tale bias si evidenzia in una sovrastima delle proprie capacità di gestire eventuali situazioni di pericolo.
- Bias ottimistico: neuroscienze e scienze sociali hanno evidenziato come l’essere umano sia più ottimista che realista, nonostante ci piaccia pensare di essere creature razionali, capaci di fare giuste previsioni sulla base di valutazioni obiettive. Il bias ottimistico consiste nel pensare che, rispetto alle altre persone, la probabilità di fare esperienza di eventi negativi sia minore: si ritiene che gli altri siano esposti a dati rischi più di quanto lo siamo noi stessi. Questa visione porta sostanzialmente ad una sottostima dei rischi e si concretizza nel fatto che molti genitori lasciano i bambini ad interagire con corpi idrici con una supervisione blanda o nulla. Come dimostrano anche le informazioni riportate in questo testo, c’è anche una sottostima generale della possibilità di morire in acqua o dei pericoli che possono nascere dalle correnti in ambienti acquatici naturali (mare, lago, fiumi).
- Bias d’azione: le persone talvolta tendono ad agire anche quando l’azione è meno vantaggiosa dell’omissione. Tale bias riguarda spesso le persone che decidono di intervenire in un salvataggio, ma prive di una specifica preparazione e che arrivano a trovarsi nello stesso pericolo della persona che vorrebbero salvare.
SENSIBILIZZAZIONE E STRATEGIE DI COMUNICAZIONE
Le strategie comunicative includono la sensibilizzazione attraverso campagne rivolte alla popolazione in generale ed ai responsabili delle decisioni, e campagne di cambiamento del comportamento rivolte a specifiche comunità o gruppi a rischio. Queste strategie aiutano gli sforzi di prevenzione dell’annegamento a coinvolgere un’ampia gamma di parti interessate e raggiungere i loro obbiettivi, tra l’altro: promuovendo nuove politiche, facendo rispettare i regolamenti, implementando misure fisiche concrete e assicurando l’accettazione e l’uso da parte delle comunità di nuove risorse per la prevenzione dell’annegamento (in particolare quelle che proteggono i bambini). Gli interventi esposti in questa sede sono diversi ma hanno delle somiglianze: tutti sono messi in atto da soggetti interessati a diversi livelli (nazionale e locale) e tutti richiedono comunicazioni di cambiamento del comportamento a livello di comunità.
CONCLUSIONI
La maggior parte dei paesi non ha le infrastrutture per coordinare gli sforzi di prevenzione dell’annegamento. Questo contrasta, per esempio, con la sicurezza stradale, per la quale (in alcuni paesi) ministeri e dipartimenti governativi hanno una responsabilità dichiarata. La mancanza di un tale organismo responsabile e globale spiega in parte la limitata azione svolta fino ad oggi sulla prevenzione dell’annegamento in molti paesi, ma suggerisce anche che la collaborazione multisettoriale è una strategia collaudata per il progresso. La collaborazione multisettoriale può allineare o integrare aspetti della prevenzione degli annegamenti con le attuali responsabilità ed obiettivi giurisdizionali di vari settori senza diminuire la sua importanza. A livello nazionale, un approccio globale può includere tutti i settori necessari in una strategia coordinata ed in un piano d’azione (come stabilire un piano nazionale per la sicurezza delle acque), e monitorare i progressi e la responsabilità del processo di attuazione. Simili collaborazioni possono dover essere replicate a livello locale o regionale per ottenere uno sforzo coordinato e per portare ad interventi locali di successo dovranno essere confrontate con valutazioni successive.
NOTE:
Questo articolo nasce da un lavoro congiunto svolto da me con i Dott. Silvia Trentin, Lara Calabrese, Marina d’Este, Martina Cescotto e Matteo Busceti, per il corso di Psicologia delle decisioni e miglioramento del comportamento individuale condotto dal Prof. Enrico Rubaltelli della Facoltà di Psicologia dell’Università di Padova.
FONTI:
- Funari Enzo, Giustini Marco e Pezzini Dario Giorgio. Annegamento e pericoli della balneazione. 2012, 81 p. https://www.iss.it/strumenti-di-riferimento/-/asset_publisher/GIDBUf2rmBr2/content/12-23-annegamento-e-pericoli-della-balneazione.a-cura-di-enzo-funari-marco-giustini-e-dario-giorgio-pezzini2012-81-p.-
- Funari Enzo e Giustini Marco. Annegamenti in Italia: epidemiologia e strategia di prevenzione. 2011, iii, 52 p. Rapporti ISTISAN 11/13 https://www.iss.it/strumenti-di-riferimento/-/asset_publisher/GIDBUf2rmBr2/content/id/5191595
- Morrongiello, B. A., Sandomierski, M., & Spence, J. R. Changes Over Swim Lessons in Parents’ Perceptions of Children’s Supervision Needs in Drowning Risk Situations: “His Swimming Has Improved So Now He Can Keep Himself Safe”. 2013, Health Psychology. Advance online publication. doi: 10.1037/a0033881
- Geneva: World Health Organization. Preventing drowning: an implementation guide. 2017. Licence: CC BY-NC-SA 3.0 IGO.
- https://www.adnkronos.com/in-italia-400-annegamenti-allanno-piu-di-uno-al-giorno_8LowLGB5ZQPy76d4tL09A
- https://www.ilgiornale.it/news/cronache/triangolo-delle-bermuda-italia-dove-si-annega-pi-1958749.html
- https://www.huffingtonpost.it/life/2021/07/12/news/l_annegamento_e_la_terza_causa_di_morte_sotto_i_15_anni_accade_perche_si_nuota_malissimo_-5186183/amp/
- https://www.stateofmind.it/bias/
- https://www.davidegaeta.com/post/annegamenti-in-italia-report-2021