Nel tempo, nonostante le apparenze contrarie, si è rivelato erroneo pensare che al mondo ci siano delle parti separate e che l’idea che anche gli eventi stessi siano accadimenti separati è una mera illusione: tutte le parti separate possono aver interagito fra loro in passato e quando succede esse (le loro funzioni d’onda) entrano in correlazione. Tranne nel caso in cui la correlazione venga distrutta da forze esterne, le funzioni d’onda che rappresentano queste parti separate rimangono correlate per sempre e, se la teoria del Big Bang è corretta, l’intero Universo è correlato fin dal suo primo istante. Riguardo tali parti separate correlate, si è visto che quanto uno sperimentatore fa in una determinata area ha un effetto intrinseco nei risultati in un’area lontana, separata spazialmente e che questa possibilità implica una comunicazione superluminale, ovvero di un tipo differente da quelli che la fisica convenzionale possa spiegare. In questo quadro, quanto avviene in un luogo è intimamente e immediatamente connesso con ciò che accade in qualsiasi altro luogo dell’Universo, semplicemente perché le parti separate dell’Universo sono tutt’altro che parti separate.
David Bohm, dopo essersi confrontato con la problematica della non-località emersa a fronte del fenomeno dell’intreccio quantistico (entanglement), riformulò il paradosso EPR, sostenendo l’inesistenza di segnali capaci di propagarsi a velocità superluminali. Lo studio ipotizzava che i risultati di Alain Aspect implicassero, in sostanza, l’inconsistenza della realtà oggettiva: nonostante la sua apparente solidità, l’Universo sarebbe in realtà un fantasma, un ologramma gigantesco e splendidamente dettagliato.
Bohm riuscì, attraverso questa intuizione, a comprendere il motivo per cui le particelle subatomiche rimangono in contatto, indipendentemente dalla distanza che le separa, ovvero che la loro separazione è solo un’illusione: ad un qualche livello di realtà più profondo, tali particelle sono entità tutt’altro che distinte, ma sono invece estensioni di uno stesso organismo fondamentale.
Se le particelle ci appaiono separate è perché siamo in grado di vedere solo una porzione della loro realtà; esse sono sfaccettature di un’unità più profonda e basilare, e poiché ogni cosa della realtà fisica è costituita da queste immagini tra loro intrecciate quantisticamente, ne consegue che l’Universo stesso è una proiezione, ovvero un ologramma. Ogni particella della materia dell’Universo risulta quindi essere intrecciata quantisticamente con tutte le altre, ed in ogni suo punto, c’è l’immagine del tutto, come in un infinito frattale. I frattali sono oggetti geometrici che si ripetono nella loro struttura allo stesso modo su scale diverse, ossia ingrandendo una qualunque loro parte si ottiene una figura simile all’originale.
La geometria frattale è molto presente in natura: la distribuzione dei semi nei girasoli, la struttura del broccolo romanesco, i rami degli alberi, il profilo delle montagne, i litorali, le nubi, le arterie o i bronchi nei polmoni, la distribuzione delle galassie nell’Universo sono solo alcuni esempi di oggetti frattali.
Bohm disse: “Oltre alla sua natura illusoria questo Universo avrebbe altre caratteristiche stupefacenti: se la separazione tra le particelle subatomiche è solo apparente, ciò significa che ad un livello più profondo, tutte le cose sono infinitamente collegate. Gli elettroni di un atomo di carbonio nel cervello umano sono connessi alle particele subatomiche che costituiscono ogni salmone che nuota, ogni cuore che batte e ogni stella che brilla in cielo. Tutto compenetra tutto. Ogni suddivisione risulta necessariamente artificiale e tutta la natura non è altro che un’immensa rete ininterrotta”.
Un interessante punto di relazione dei concetti della fisica quantistica con la psicologia è legato ad una corrente di ricerca psicologica, ovvero la Gestalt[1], sorta in Germania all’inizio del XX secolo, diffondendosi poi prevalentemente negli Stati Uniti, e che ebbe come principali esponenti Max Wertheimer, Kurt Koffka, Wolfgang Köhler, Kurt Zadek Lewin e Wolfgang Metzger. La Gestalt si inserisce all’interno di una prospettiva di tipo fenomenologico secondo la quale è centrale l’esperienza che si verifica in un soggetto nel momento in cui egli esamina un determinato fenomeno (sensazioni, immagini, ecc…) ed affonda le proprie radici nella riflessione filosofica: l’utilizzo del metodo fenomenologico, l’attenzione per gli aspetti innati della conoscenza e la considerazione delle funzioni psichiche come oggetto di studio.
Max Wertheimer affermò che ciò che si ricorda di più è una sintesi della realtà e che il riconoscimento di una figura deriva dall’esperienza; Lewin invece mise in atto le regole dell’interazione tra le parti ed è considerato il massimo esponente della psicologia sociale. All’analisi del gruppo, Lewin applicò i concetti fondamentali della Gestalt: un gruppo di persone è tutt’altro che dato dalla somma delle singole individualità, e costituisce invece una realtà diversa. Secondo la scuola della Gestalt la percezione risulta dall’organizzazione interna delle “forze” che si vengono a creare fra le diverse componenti di uno stimolo.
Nello studio della psicologia della Gestalt venne fatto ampio uso di figure ambivalenti, ovvero immagini come quella a fianco dove, a seconda che l’attenzione visiva venga posta sulla parte in nero o sulla parte in bianco, si potranno notare due diverse figure: un vaso (in nero) due visi (in bianco). L’atto di osservare genera un cambiamento nella percezione dell’immagine.
Per spiegare meglio questi concetti mi avvarrò di un’immagine tridimensionale di mia creazione, ovvero quella che chiamo “punta di cacciavite”.
L’immagine qui a fianco è un’assonometria di cilindro, di uguale altezza e diametro, doppiamente troncato obliquamente da due piani che partono da un diametro della base superiore per andare ad intersecare il diametro perpendicolare della base inferiore: ne risulta una figura simile, appunto, alla parte finale di un normale cacciavite a punta piatta.
La particolarità di questa figura, come si può osservare qui sotto, è data dalla proiezione delle sue ombre su superfici ortogonali, dalla quale risultano tre figure geometriche: un cerchio, un quadrato ed un triangolo isoscele.
Nel dettaglio, nella figura sottostante, si possono vedere le proiezioni ortogonali della “Punta di cacciavite”, ovvero quale immagine si vedrebbe avendo l’oggetto fisico a disposizione ed osservandolo da tre diverse direzioni, ruotate di 90° l’una rispetto all’altra.
Facendo riferimento alla figura più in alto si è portati a desumere quali siano le ombre o, meglio, le forme perimetrali che hanno le proiezioni ortogonali qui sopra, le quali diventano un cerchio, un quadrato ed un triangolo isoscele, e qui il legame con i principi quantistici: se si osservasse una sola delle forme perimetrali si vedrebbe solo uno degli aspetti dell’oggetto, ma sarebbe impossibile comprendere la sua vera forma, diventando indispensabile effettuare più osservazioni con diverse modalità (angolazioni) per poter descrivere l’oggetto nella sua forma reale. Osservando in un primo momento le sole figure perimetrali sottostanti si potrebbe pensare infatti che le immagini rappresentino le proiezioni di una sfera, di un cubo e di un cono.
L’osservatore ancora una volta influenza la natura della realtà.
Un ulteriore aspetto da valutare è la trasposizione di immagine fatta dal cervello dell’osservatore, che guardando l’immagine tridimensionale ha assegnato alle proiezioni il “valore” di cerchio, quadrato e triangolo isoscele, per un principio convenzionale del disegno tridimensionale: se si osservano infatti le immagini reali riportate qui sotto e le si decontestualizza, si può vedere come esse si rappresentino invece un’ellisse, un rombo ed un triangolo scaleno.
È successo di nuovo: l’osservatore anche stavolta ha influenzato la realtà.
La mente umana organizza costantemente la propria attività in modo da cogliere oggetti ed eventi in modo unitario e coerente. Tale segmentazione del flusso continuo di informazioni consente al soggetto di orientarsi e muoversi correttamente nello spazio, di distinguere in modo appropriato gli oggetti gli uni dagli altri, di procedere agli opportuni confronti fra di essi individuando eguaglianze e differenze, oltra a permettergli di fare previsioni attendibili sullo svolgimento futuro degli avvenimenti. Il mondo percettivo, riempito dagli oggetti e dagli eventi che si vivono come presenti nell’ambiente circostante sono il risultato di una sequenza di mediazioni fisiche, fisiologiche e psicologiche, nota come catena psicofisica.
Come si è visto quindi, la mente inferisce “valori” a ciò che osserva, che possono essere diversi da quanto realmente osservato. La stessa figura della “Punta di cacciavite” può essere osservata da molti altri punti di vista, e la mente potrà dare loro diversi significati a seconda della conoscenza pregressa di figure similari.
Nell’immagine sottostante si riportano solo alcuni degli infiniti esempi che si potrebbero fare, ai quali ognuno potrebbe attribuire molteplici significati. In nero si vede l’ombra/forma perimetrale e sotto l’oggetto tridimensionale nella posizione dalla quale si è ricavata:
Va comunque evidenziato che anche in questo momento la mente sta attribuendo significati di tridimensionalità, o addirittura di “realtà”, a semplici immagini bidimensionali, che appaiono su un foglio di carta o su uno schermo.
Tirando le fila del discorso, si potrebbe sostenere che la mente umana sia incapace di percepire ciò che realmente esiste, ma solo quello che crede esista; la retina dell’occhio assorbe la luce portando segnali al cervello che crea la sensazione di vedere un’immagine: esistono solo onde elettromagnetiche di differente frequenza e ampiezza le cui diverse combinazioni danno infinite immagini possibili. Il mondo è privo anche di suoni e musica, solo variazioni di pressione dell’aria che formano diverse onde sonore che l’orecchio interno cattura e trasforma in segnali informativi diretti al cervello.
La realtà oggettiva quindi è inesistente e l’ambiente percepito è un’interpretazione del nostro cervello. Antiche filosofie e religioni orientali hanno sempre sostenuto quanto il mondo materiale sia un’illusione. In realtà l’essere umano può essere equiparato ad una sorta di antenna ricevente immersa in un mare di frequenze, che riceve ed emette creando e trasformando la percezione della realtà fisica. Da questo punto di vista la fisica quantistica risulta essere lo strumento che permette di comprendere più profondamente la realtà, o meglio, quella che viene percepita come realtà.
NOTE:
[1] Termine tedesco intraducibile letteralmente, che significa pressappoco “forma organizzata”.
BIBLIOGRAFIA:
- Anolli, Luigi e Legrenzi, Paolo. 2001. Psicologia generale. Bologna : Società editrice il Mulino, 2001.
- Hope_. Teoria della Gestalt. Skuola.net. https://www.skuola.net/psicologia/teoria-gestalt.html.
- Lavalle, Mauro. 2019. Fisica quantistica, fisica della vita. Viaggio alla scoperta della struttura della materia, della Biologia e della Psicologia Quantistica. Romagnano al Monte (SA) : BookSprint Edizioni, 2019.
- Scolari, Fabio. 2019. Psicologia quantistica. valutazione critica della sua possibile applicazione in ambito lavorativo. 2019.
- Zukav, Gary. 1979, 2001. The dancing Wu Li Masters. New York : William Morrow and Company, 1979, 2001. Trad. It. La danza dei Maestri Wu Li. La fisica quantistica e la teoria della relatività spiegate senza l’aiuto della matematica. Milano : Garzanti S.r.l., 2015.